mercoledì 23 giugno 2010

La creatività per la gloria e la fuffa per lo stipendio

Auditorium di Jwt sta facendo un figurone a Cannes. Auditorium di Jwt e tutta l'operazione Heineken è veramente una gran campagna. Buffo che Jwt (buffo quanto un novantenne che cade dalle scale e muore in realtà..) sia anche una delle agenzie che sta andano peggio ngli ultimi tempi. E giù licenziamenti.
Chiunque abbia lavorato almeno mezz'ora in un agenzia di pubblicità sa che i lavori sono di due tipi: quelli che esaltano i creativi e la merda quotidiana (questa definizione non è mia di un noto Vice-DC milanese). I primi finiscono nel portfolio,su I believe in adv e  vincono premi mentre i secondi pagano gli stipendi. Difficile fare a meno dei secondi. La Leagas Delaney per esempio fa delle gran cose, ma anche Somatoline e Tim Tribù. Leo Burnett  produce cose eccellenti, ma fa anche le odiose campagne Tim con Belen e De Sica, dalla United (da molti considerata, anche a ragione, la miglior agenzia italiana) sono uscite battute (per Vodafone) come: "sei un palloncino gonfiato" o "quest'estate fa card".
Certo.. anche Heineken paga gli stipendi, ma il Museo del fumetto di Lucca, l'Itasian Resturant, Enpa o la Lipu (etc etc) no. Ma allora? I clientoni sono allergici alla creatività? è impossibile fare ottima creatività che sia capibile da tutti? I direttori marketing dei grandi brand son dei cagasotto?
Certo che se fossi alla RayBan e un'agenzia mi presentasse una cosa di questo tipo...

sabato 29 maggio 2010

Diesel 0 - Lesine 1

In effetti a vederlo ora, così, ti chiedi come mai si è dovuto aspettare così tanto per avere una replica del genere,che sembra quasi ovvia. Qui trovate tutta la campagna ideata dall'agenzia Diaframma Adv (l'agenzia di Yamamay,che ad ogni uscita stampa cambia il logo o dei vecchi film Kimbo con Proietti per intendersi.)

martedì 11 maggio 2010

Trust Me vs Mad Men: 60 anni per trasformare i pubblicitari da fighi a sfigati.



Ci sono serie tv praticamente su tutto: casalinghe che sembrano modelle, prostitute newyorkesi, scrittori in crisi, dottori con la faccia de duro ecc ecc.
E ovviamente non potevano mancare i pubblicitari, protagonisti di ben due serie americane. La prima è Mad Men ambientata nel mondo della pubblicità anni '50. Girano tanti soldi, tanta brillantina, tutti sono fighissimi, eleganti e bevono whiskey in ufficio. Ritmo lentissimo e dialoghi coinvolgenti come un concerto di Marco Carta (I suppose..). Il direttore creativo/protagonista poi è il più figone di tutti, ha una moglie bellissima e qualche amante ancora più figa (anzie più figa no, perchè lei è abbastanza insuperabile). Una specie di Clarke Gable copywriter.
La serie ha avuto un bel po' di successo (in Italia pochino a dir la verità) e adesso siamo alla quinta serie. Personalmente mi sono fermato alle prime puntate e il mio entusiasmo è calato a picco di puntata in puntata.
In compenso sto sviluppando una vera passione per l'altra serie sul mondo della réclame: Trust Me.
A differenza di Mad Men, parla in modo abbastanza realistico dell'ambiente pubblicitario attuale. I protagonisti sono due amici, coppia creativa senior in un'importante agenzia di Chicago e il loro rapporto viene messo alla prova quando uno dei due, l'art (il Will di Will&Grace) viene promosso direttore creativo. Il tutto è molto reale e i problemi pure, dal creativo quarantenne che non riesce a stare al passo con i tempi, all'ossessione per i premi e i riconoscimenti. Insomma creativi anche un po' sfigati, senza stipendi faraonici ma più veri. Il prodotto ideale per i nerd dell'advertising, per gli addetti ai lavori e infatti è stata cancellata per i bassi ascolti subito dopo la prima serie.
Insomma tra Mad Men e Trust Me c'è la stessa differenza che c'è tra Batman e Spiderman se capite cosa intendo.
E la nostra simpatia ovviamente è indirizzata allo sfigato di turno.

domenica 2 maggio 2010

La strana storia del collezionista d'arte senza Porsche

Se siete incuriositi dal mercato dell'arte moderna il libro giusto da leggere è "Lo squalo da 12 milioni di dollari", scritto dall'economista Donald Thompson e uscito in Italia lo scorso anno per Mondadori. Se non siete abbastanza disillusi nei confonti del mondo dell'arte, questa lettura sarà un grosso aiuto.
L'antidoto giusto all'amarezza causata da queste pagine è invece la storia di Herb e Dorothy.
Lui postino, lei bibliotecaria, entrambi con una grande passione per l'arte contemporanea. Negli anni sessanta hanno avuto un'intuizione: usare lo stipendio di lei per mantenersi e quello di lui per comprare pezzi d'autore. Ovviamente opere non troppo grandi, visto che dovevano entrare nel loro bilocale a Manhattan; decisero anche di non vendere mai un pezzo. L'arte per loro era solo passione, non un business.
In quarant'anni hanno accumulato più di 4000 opere di grandi artisti tra cui Donald Judd, Son Le Witt, Christo e Chuck Close.
Per gli acquisti si fidavano solo del loro istinto, dimstrando di essere sempre un passo avanti rispetto al mercato, riuscendo così ad acquistare, spendendo il giusto, opere di autori sconosciuti che nel giro di poco tempo sarebbero diventate star internazionali.
Poi nei 90 hanno deciso di donare (sì, sì donare) tutta la loro collezione alla National Gallery of Art di Washington e ad altri musei più piccoli, tenedo solo qualcosa da vendere in caso di emergenza.
Da poco è uscito un in dvd un documentario sulla loro storia: lo trovate qui.

giovedì 29 aprile 2010

Primo dislike: Novembre. Mese e designer, ma soprattutto il designer

Uno dei vantaggi della sbornia ecologista degli ultimi tempi è l'allontanamento dal modello del mito "archistar". Meno sboroni e più coscienza, che poi spesso diventa tantisboronichefingonounacoscienzaperfiniresulleriviste. Ma c'è chi sulle riviste ci finisce comunque, coscienza o no ed è quel gesù cristo ignudo, pienissimo di seissimo che vedete qui sotto (la foto la dice lunga sull'ego del tipo: qualcosa a metà strada tra Manuel Agnelli e il nostro presidente dalla bandana bianca). Sì, perchè in Italia da qualche hanno si è deciso che se si vuol parlare di design si deve parlare di Fabio Novembre. Dalle riviste di settore, a quelle di cultura globale (Urban gli ha dedicato un numero per intero in occasione del salone del mobile dello scorso anno), fino a quelle del cazzo (vedi "il giornale STYLE", supplemento al quotidiano di Feltri che ha dedicato il numero di aprile proprio a november e a quell'allegro panzone di Philippe Starck, a proposito di gente modesta) fino a GQ Italia di cui è uno dei tre punti di riferimento/guru (gli altri due sono Jovanotti e Lapo Elkan, quindi sicuramente il più amabile del trio).
Indubbiamente Novembre è un personaggio notevole che, come ho sentito dire di recente o si ama o si odia, (ma noi siamo più moderati e ci limitiamo al like e dislike, e lui è, o ce l'hanno fatto diventare, un tantino dislike.) Come designer ha prodotto cose buone, l'allestimento stesso della mostra a lui dedicata alla Triennale lo scorso anno era notevole, ma anche megacagate (gusto mio). Ci tiene particolarmente a sottolineare è che lui non sa assolutamente disegnare ne usare il computer. Il che per la sciùra borghese appassionata di design costoso suona come "sono talmente genio che esprimo le mie idee senza averne i mezzi. Guarda come somiglio a gesudinazareth. Adorami", per un giovane leggermente smailiziato sulle logiche del lavoro creativo invece suona come "in studio non faccio un cazzo, butto lì le idee e i miei collaboratori e stagisti si fanno un cuuuulo tanto".
Ecco: a tutte le riviste, Italiane e non, tra un intervista a Novembre e l'altra (che nel frattempo non avrà imparato a disegnare e quindi non avrà molto di nuovo da raccontarvi), proporrei di fare un servizio, magari anche piccolino, su Paolo Ulian, il più sottovalutato dei designer. Ma anche solo per cambiare eh..
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mercoledì 28 aprile 2010

Primo post. Primo like. AUGE

Da qualche settimana i creativi italiani hanno un nuovo amico virtuale. E' "La Shortlist" che vanta su facebook più di 1800 amici, tra stagisti, account, art& copy. Oltre a postare qualsiasi campagna gli capiti tra le mani si è impegnata nei giorni scorsi anche ad intervistare qualche DC. Una delle domande per tutti è: "quale agenzia consiglieresti?.. quali i migliori creativi in italia?.." ed i nomi che escano sono quelli che uno si può immaginare (United, DDB, BBDO,ecc, oltre a quella dell'intervistato di turno ovviamente). Mi ha stupito che nessuno abbia citato quella che secondo me è la miglior agenzia in Italia in questo momento: Auge.
E siccome nessuno mi viene ad intervistare (e come dargli torto), ci ho fatto un post.
Fondata pochi anni fa da Giorgio Natale, ex DC in MacCann, si occupa non solo di advertising classico, ma anche di design, packagin, viral etcetera etcetera. Hanno fatto un paio di campagne "fashion" fighissime con foto di PierPaolo Ferrari,
questa e quest'altra. Il che secondo me è un bel biglietto da visita, vista la qualità della comunicazione fatta in Italia per la moda. Altra cosa veramente meritevole uscita da poco è questa qua: cinque soggetti diversi per altrettant illustratori. Questo è il loro blog, aggiornato abbastanza spesso, ma la cosa che più mi piace è il loro sito: inutilizzabile, ma con delle foto bellissime.